Crimes of the future – Body is reality
Un mondo oscuro è quello che David Cronenberg porta sullo schermo in questo “Crimes of the future”. Un domani in cui l’uomo ha prosciugato il pianeta, sé stesso e annullato il dolore fisico. Un domani in cui la sopravvivenza passa dal cambiamento/mutamento del corpo, per adattarsi a una nuova esistenza che egli stesso ha creato (sta creando?). In questo film il regista canadese torna a riflettere sul rapporto di forza che si instaura tra la mente e il corpo, ma anche sullo stato dell’arte, su quelle figure che dietro le quinte vogliono controllarla, indottrinarla, trasformare l’artista in uno strumento, l’ennesimo, come pure riflette su di un pubblico ormai incapace di comprendere la differenza tra genialità e prodotto.
“Crimes of the future” ci cala nella vita dell’artista performativo Saul Tenser (Mortensen) e della sua compagna Caprice (Seydoux). I due vivono in un mondo in cui non esiste più il dolore fisico, un mondo “sintetico” in cui le emozioni sono quasi svanite. Saul ha la capicità di creare all’interno del proprio corpo dei nuovi organi, infatti le loro esibizioni consistono nel mostrare l’estrazione di questi in spettacoli d’avanguardia. Lui crea, lei estrae. Quando il padre di un ragazzino ucciso dalla madre gli propone di usare il corpo di questo in uno dei loro spettacoli, i due inizieranno a indagare sulla morte del giovane, scoprendo che un nuovo ordine sociale dato da un’evoluzione del corpo umano aspetta di essere scoperta.
Scritto e diretto da David Cronenberg “Crimes of the future” sembra quasi un testamento che l’ottantenne regista fa al cinema. Il film contiene tutte le tematiche proprie dell’autore, così come molte delle peculiarità estetiche che hanno plasmato l’immaginario visvio dei suoi precedenti lavori. Allo stesso tempo però la pellicola con il suo distopico mondo, punta il suo sguardo pessimista e vigile sul nostro presente. Quello che ci ritroviamo a vedere potrebbe “semplicemente” essere uno dei nostri domani, se non iniziamo a evolverci come persone, come specie. Se vogliamo rimanere quello che siamo dobbiamo migliorare, prima che siano le necessità di adattamento a farlo tramite una naturale evoluzione del corpo.
Tutti percepivamo che il corpo fosse vuoto, privo di significato e volevamo averne la conferma per poterlo riempire di significato.
Caprice
La scena iniziale in cui una madre uccide il proprio figlio, in quanto una mutazione interna gli permette di nutrirsi di plastica, è una chiara metafora dei nostri giorni. Stiamo distruggendo il mondo ma preferiamo far finta di nulla per salvaguardare la patinata cartolina che abbiamo nella nostra mente. Quando qualcosa di nuovo, di diverso, germoglia e potrebbe mettere fine a determinati scempi, invece di stupirci di fronte all’evoluzione siamo diffidenti, al punto da spazzarla via sul nascere. Questo è quello che fa la madre al figlio, questo è quello che facciamo noi di fronte alla catastrofe, neghiamo l’evidenza e quando non è possibile farlo, distruggiamo le prove.
L’assenza del dolore nel microcosmo cinematografico di “Crimes of the future” è l’ennesimo, eccezzionale, spunto di riflessione che Cronenberg getta addosso allo spettatore, dato che noi oggi viviamo in una società che in qualche modo fa di tutto per soffocarlo. Dai social media, ai vari mezzi di comunicazione, la preoccupazione personale e il dolore sono spariti. Nessuno vuole più mostrare le proprie fragilità, i propri lati oscuri, nel nostro personale microscosmo è sempre giorno, mai notte. Tutto finisce in un piatto limbo che controlliamo a piacimento generando l’immagine definitiva del nostro io. Il corpo in costante mutamento di Saul Tenser mette a nudo parti, deformità, che la mente terrebbe ben nascoste, alla ricerca di una bellezza interiore.
A loro non piace quello che succede al corpo, soprattutto quello che succede al mio corpo, per questo continuo a tagliarlo.
Saul Tenser
Saul e Caprice, come tutti gli altri artisti che popolano questo lugubre noir, sono alla ricerca del dolore perduto, perché attraverso questo possono creare diventando individui “completi” con una loro unicità, non essere solamente involucro. L’uomo ha bisogno di tutte le sue emozioni per vivere appieno, è arrivato il tempo in cui il contenuto deve vincere sulla forma (la scena di un ballerino con il corpo pieno d’orecchie, come quella in cui una modella si fa sfregiare il viso ragionano proprio su questo). L’insieme delle nostre emozioni, dei nostri pensieri, è quello che ci rende unici al pari del nostro corpo. La regressione di questi elementi non può che condurci alla nostra fine, verso la totale perdità della nostra unicità.
L’uomo deve prendere coscienza di quello che sta facendo, non deve fuggire dal dolore dato che questo è necessario, perché non vi è alcuna possibilità di crescita in una personale incubatrice fatta di ovatta. L’autocompiacimento è la fine dell’uomo, del mondo, delle emozioni. Il regista canadese non risparmia comunque una feroce critica rivolta alla visione, sulla percezione dell’arte da parte di un pubblico che ormai non sa nemmeno più riconoscerla. In una ossessiva ricerca di semplicità lo sguardo ha ormai sdoganato la banalità elevandola a stile, talento. E Cronenberg con questo film si scaglia come una furia contro la banalizzazione dell’opera e del suo autore da parte della massa. Ma si faccia attenzione a questo punto.
La pellicola non condanna il pubblico, nemmeno dipinge l’arte come un qualcosa di elitario, invece medita su come lo spettatore accetti le apparenze, la confezione (ritorniamo alla scena del ballerino pieno di orecchi, che sono solamente orpelli estetici fatti passare per body art), perché in molti casi si usa troppa superficialità nell’analisi, nel decifrare l’opera. Se tutti sono autori, chi è vertamente l’artista a questo punto? Ma “Crimes of the future” è un gran film, Cronenberg negli anni ha realizzato pellicole più coese sul piano narrativo ed estetico, ma non basta a farlo diventare un’opera minore. “Crimes of the future” è una doccia fredda di cui lo sguardo ha un immenso bisogno. Irrinunciabile.