Candyman

Candyman – Un seguito inatteso

“Candyman” di Nia DaCosta, abbraccia la tendenza hollywoodiana odierna di creare dei quei seguiti che non si limitano a proseguire il racconto, ma tentano anche di dare nuovo slancio a personaggi iconici del passato. Un ibrido tra seguito e reboot al tempo stesso, il cui obbiettivo finale è portare al cinema sia gli amanti dei film precedenti, ma allo stesso tempo abbracciare nuovi spettatori. La stessa operazione è stata compiuta con discreto successo da David Gordon Green con “Halloween”, che va a innestarsi dopo il primo episodio dieretto da John Carpenter e facendo tabula rasa di tutto il resto della saga. Ecco Mia DaCosta ho lo stesso obbiettivo di Green, annullare tutti i capitoli successivi al capostipite proseguendo il racconto dove fu interrotto nel cult diretto da Bernard Rose nel ’92, da cui tra l’altro eredita in toto il titolo. L’operazione questa volta non è pienamente risucitae riuscita, ma ha comunque dato vita ad una pellicola interessante.

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La storia di “Candyman” racconta di un giovane artista di nome Anthony McCoy (Yahya Abdul-Mateen II), che in piena crisi creativa trova ispirazione grazie alla leggenda metropolitana di “Candyman”. Quest’ultima è una figura malvagia che ha infestato per anni il quartiere Cabrini Green di Chicago, un ammasso di case popolari divenuto ben presto un ghetto per la gente di colore. Racconto vuole che chiunque nomini il suo nome per cinque volte davanti ad uno specchio, lo evocherà andando incontro a morte certa. Anthony ritroverà la propria ispirazione dando vita ad opere d’arte il cui tema è questo mostro ultraterreno, ma ben presto le persone che gli sono vicine inizieranno a morire, uccise proprio come la leggenda di “Candyman” racconta. Questo darà il via a una lenta ed inesorabile discesa negli inferi di Anthony, che inizierà quindi a indagare per capire dove la realtà finisce ed inizia il fantastico.

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Ossessionato dal doppio e dalle superfici speculari il film di Nia DaCosta si divide in due anime distinte e opposte tra loro. La prima legata al genere, che reclama tensione e sangue, mentre la seconda più politica che vuole riflettere su come la società odierna non sia poi molto cambiata negli anni e Candyman, da mostro diventa simbolo di una una situazione che non è cambiata nei secoli, ma solamente nascosta dietro una facciata di perbenismo e politicamente corretto. Queste due personalità ben distinte nel film faticano a convivere sullo schermo, con la seconda che finisce inevitabilmente per schiacciare la prima. Uccisioni “spettacolari” non mancano, ma sembrano inserite più per giustificare il titolo che porta che per necessità narrative. Di fatto la pellicola tratta dal racconto “Il Proibito” di Clive Barker, potrebbe essere spogliata dalla parte horror e trasformarsi in un più compatto thriller psicologico che riflette sull’alienazione della mente e su come questa riesca ad essere piegata con un semplice racconto ben argomentato. Al tempo stesso Nia DaCosta assieme agli altri due sceneggiatori, rispettivamente Jordan Peele (Get Out) e Win Rosenfeld (Blackkklansman), potevano compiere un atto di coraggio staccandosi dalla necessità di dare al pubblico un mostro, ragionando maggiormente sulle necessità che portano le persone a dargli vita (argomento cardine e molto interessante su cui ruota tutta la pellicola).

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“Candyman” invece, come anticipato, deve fare i conti con il nome che porta e con l’esigenza di collegarsi a un film precedente (che seppur datato risulta più evocativo e incisivo di questo seguito). Queste necessità non gli permettono di staccarsi dalla figura del “babau” e da tutto quello che questo porta in dote in termini di cliché. Il paradosso che viene a crearsi lo vediamo nei momenti di terrore dove il fantastico irrompe nella realtà, che finiscono per disinnescare la tensioen piuttosto che farla esplodere. La cineasta americana sa comunque creare gustosi e spettacolari omicidi, ma non basteranno ad accontentare gli amanti del genere e distoglieranno l’attenzione da chi è incuriosito dalla leggenda dietro la figura. “Candyman” è un seguito che si rivela maggiormente efficace come riflessione politica sulla società attuale che come horror. L’uomo uncinato mantiene comunque un discreto fascino e speriamo che in un eventuale nuovo capitolo le componenti siano miscelate a dovere.

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"Candyman" è un seguito che si rivela maggiormente efficace come riflessione politica sulla società attuale che come horror.
2.5
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