Black Panther

Diretto da Ryan Coogler “Black Panther” ci trasporta in Wakanda, una nazione africana il cui benessere proviene dal vibranio. Questo è un metallo preziosissimo che ha permesso uno sviluppo tecnologico fuori dal comune agli abitanti, costringendoli però a nascondersi al mondo perché la fonte del loro potere e della loro evoluzione come civiltà non deve finire nelle mani sbagliate. Il nuovo re del Wakanda è T’Challa, che dopo la morte del padre diviene sovrano ereditando i poteri della pantera nera, figura protettrice della nazione. Ma le cose cambieranno molto presto, un lontano parente assetato di vendetta arriverà nel Wakanda per sfidare T’Challa, salire al trono e dichiarare guerra al mondo intero.

“Black Panther” è un nuovo tassello del “Marvel Cinematic Universe”. Introdotta per la prima volta in “Captain America Civil War”, la pantera nera può finalmente godere di un suo film che come da prassi descrive approfonditamente il personaggio e il mondo da cui questo proviene. Il regista californiano a cui si deve il più che riuscito “Creed”, gestisce al meglio una produzione ad alto budget ma con poca libertà di iniziativa. “Black Panther” è la dimostrazione che di pellicola in pellicola, lo studio capitanato da Kevin Feige, non ha bisogno di talenti che magari prendono posizione nei confronti dell’opera da realizzare, ma semplicemente di ottimi esecutori che sacrificano la propria personalità a favore della notorietà.

Diviene quindi inutile qualsiasi tipo di analisi nei confronti di un cinema che non ha più un corpo proprio, ma vive in funzione degli eventi che lo seguiranno, il momento è azzerato in favore della promessa futura (Avengers Infinity War in questo caso). “Balck Panther” non è quindi un film che mette in luce le abilità di chi sta dietro la macchina da presa, ma l’ennesima conferma di come le maestranze messe assieme dai Marvel Studios, formino un mosaico tecnico di prim’ordine; un ottimo tratto distintivo da curricolum vitae.

L’unico neo tecnico del film risiede esclusivamente nel comparto computer grafica, dove l’abbondante uso di questa nella costruzione di scenari rende “plasticosa” e poco credibile l’immagine su schermo. Ma “Black Panther” se come detto è una pellicola senza grossi problemi o meriti per quel che comporta gli aspetti meramente tecnici, mostra i suoi punti deboli nella recitazione degli attori, ma soprattutto nella sceneggiatura. Per quanto riguarda le interpretazioni troviamo un Chadwick Boseman nei panni del protagonista T’Challa che durante quasi tutto il film risulta poco espressivo, incapace di restituire con volto e fisico le emozioni del personaggio in modo adeguato.

L’antagonista interpretato da Michael B. Jordan è vittima di una scrittura troppo schematica, seppur abbia una storia interessante che lo porta a prendere determinate posizioni, non viene dato il giusto respiro drammatico al suo personaggio, riducendo la faida tra i due alla complessità di una lotta tra galli.

Non va molto meglio al resto del cast costretto a ruoli secondari macchiettistici (vedasi la sorella di T’challa versione irritante del “Q” bondiano). Si salvano perché caratteristi di gran mestiere, Martin Freeman e Andy Serkis, quest’ultimo interpreta uno dei cattivi del film che già era apparito in “Avengers: Age of Ultron” (Forest Whitaker e Angela Basset collezzionano altri due ruoli da dimenticare) . Ma se alla fine tra alti e bassi le interpretazioni risultano funzionali alla storia è proprio quest’ultima il punto dolente della pellicola.

“Balck Panther” non è quindi un film che mette in luce le abilità di chi sta dietro la macchina da presa, ma l’ennesima conferma di come le maestranze messe assieme dai Marvel Studios, formino un mosaico tecnico di prim’ordine; un ottimo tratto distintivo da curricolum vitae.

“Black Panther” purtroppo è figlio di una formula ormai stantia fatta di tre atti in cui nel primo viene presentato il protagonista, nel secondo il cattivo (in questo caso due), nel terzo e conclusivo la presa di coscienza dell’eroe con sconfitta dell’antagonista principale. In questa ossatura portante che rimane tale dal primo “Iron Man”, il film diretto da Ryan Coogler e scritto dallo stesso assieme a Joe Robert Cole, non riesce a costruirsi una propria identità (anche se in più occasioni cerca un punto di contatto con la serie di 007), ma peggio ricicla se stesso.

Se la prima parte è dedicata alla presentazione dell’eroe protagonista, la seconda che come abbiamo scritto mette in scena il cattivo, inscena il definitivo déja vù, riproponendoci l’intera prima parte, sostituendo l’eroe con il suo antagonista. Tralasciando altri problemi di coerenza interna e sul fatto che il film dall’inizio alla fine proceda senza traccia di tensione alcuna, stupisce il fatto che non ci fossero idee diverse se non far fare anche all’antagonista lo stesso identico percorso dell’eroe principale.

Questa scelta di sceneggiatura non solo affonda tutta la parte centrale della pellicola rendendola noiosa, ma mette in luce il fatto che la storia di “Black Panther” racconti eventi che procedono perché qualcosa è accaduto prima, e altro succederà dopo, annientando qualsiasi interesse sull’immediato, spostando l’immaginazione sul futuro. Un film di raccordo che alla fin fine più che innocuo si rivela un inutile spreco di tempo.

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1.5
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