Black Dahlia – La verità non ha sfumature
Il caso della Dahlia nera è il fatto di cronaca più scottante dell’anno (1947) a Hollywoodland, una ragazza di nome Elizabeth Short (Mia Kirshner) viene ritrovata morta con il copro diviso in due ed un taglio sul viso che le unisce la bocca alle orecchie. I due detective Bucky” Bleichert (Josh Hartnett) e Lee Blanchard (Aaron Eckhart), amici sempre in cerca di fama ed innamorati della stessa donna, decidono di investigare su questo omicidio. Tra corruzioni e doppie identità, i due si addentreranno in un territorio fatto di ombre, sguardi, innocenza e sogni infranti, fino a perdere completamente se stessi per capire cosa sta dietro alla Dhalia Nera.
“Black Dahlia ” segna il ritorno dopo quattro anni di Brian De Palma alla regia di un film, ma non solo, la pellicola in questione riporta al cinema il noir classico con tutti i canoni del genere ambientazione compresa. Le immagini che il regista ha imbastito per raccontare la storia morbosa della Dhalia Nera sono tutte leggermete sfocate, ovattate, ed immerse in una tonalità ocra che impasta tutto quello che si vede in maniera anomala, proprio come i protagonisti nel medesimo modo si mescolano tra loro, al contrario di alti suoi film l’immagine non è più la verità, tranne in alcune occasioni in cui il visivo ritorna ad essere il punto fermo su cui fare congetture sull’evoluzione della storia.
Una pellicola anomala nelle immagini ma classica nella narrazione, non inventa nulla di nuovo, non apporta niente di innovativo al genere, ma ne segue i dettami imposti da grandi registi cinematismi con il noir prima di lui, tra cui Polanski con il suo “Chinatown” senza dimenticare Howard Hawks de “Il Grande sonno”. Come in una enciclopedia del genere la storia si sviluppa intricatissima tra dark lady inflessibbili e ricconi dal passato dubbio, icone classiche ma funzionali impreziosite dall’uso della macchina da presa fatto dal regista, che riesce ad essere perfettamente elegante anche nel dipingere una scena di passione torbida.
In “Black Dahlia” Le donne sono il motore propulsivo del racconto, una viene uccisa e grazie alle altre che compaiono nella vita dei protagonisti, questi riusciranno a sbrogliare il bandolo della matassa e trovare la giusta redenzione. Sono sempre le donne a intorbidire ed a rendere frivolo il racconto, il personaggio interpretato da Hilary Swank carico dell’inadeguatezza di vivere ne è un esempio lampante, ma proprio il sesso femminile è il tallone d’Achille della pellicola. Purtroppo nel descriverlo De Palma molto spesso perde il ritmo restando affascinato dalle sue attrici, distruggendo in alcuni casi le personalità dei suoi protagonisti maschili, facendoli risultare in alcuni punti dei beoti in balia di qualcosa più grande di loro.
Il film grazie ad una storia ben architettata riesce a far sempre presa nei momenti di stanca, probabilmente anche per via del sapiente uso delle parti in bianco e nero, uniche dispensatrici di verità in un’epoca in cui i filmati non erano contraffabili. “Black Dahlia” è un film praticamente perfetto ma proprio in virtù di questa cura maniacale di ogni singola parte risulta impersonale, allo stesso tempo una grande prova di bravura del regista, ma anche uno sterile esercizio di stile. Una pellicola “mista”, un cinema che non esiste più, un genere dimenticato in quanto “classico”, un film frivolo come il sapore di una donna che vorrebbe essere la prima ma purtroppo non ci riesce, proprio come la Dhalia.