Black Adam – Giocattolo senza scopo
Gradire o meno “Black Adam” diretto da Jaume Collet-Serra (“L’uomo sul treno”) è estremamente semplice, questo perché il film del regista spagnolo è legato a doppio filo al suo interprete principale: Dwayne Johnson. Come la maggior parte delle pellicole che vedono l’attore in questione al centro della scena, anche questo cinecomic si trasforma ben presto in un “monumento” produttivo a esso dedicato. Quindi il gradimento di “Black Adam” risulta direttamente proporzionale alla simpatia o antipatia che si provano per Johnson, che a furia di produrre film a uso e consumo della sua immagine inizia a intaccarne la credibilità scenica.
“Black Adam” ci trasporta tra le strade di Kahndaq, paese medio orientale in cerca di un governo che possa riportare serenità e splendore al suo popolo. Un gruppo di terroristi vuole impossessarsi di un antico cimelio, la corona di Sabbac, per entrare in possesso di un potere tale da poter rovesciare l’attuale governo senza grosse difficoltà, cambiando per sempre il destino del paese. Durante il ritrovamento del manufatto risvegliano Teth-Adam, eroe leggendario a guardia della corona, che molti secoli prima liberò il popolo di Kahndaq da una tirannia che rischiava di annientarlo. Adam oggi come ieri dovrà salvare il popolo dagli oscuri poteri della corona di Sabbac, prima però dovrà decidere che tipo di eroe vuole veramente essere.
Il film diretto da Collet-Serra non ha formalmente nulla da invidiare ad altre pellicola di genere, anzi risulta fin troppo in linea con i prodotti più riusciti degli ultimi anni, al punto che uno dei due più grandi difetti di cui soffre “Black Adam” arriva molto presto in superficie: la schematicità. La sceneggiatura a tre mani scritta da Adam Sztykiel, Rory Haines e Sohrab Noshirvani procede senza troppi scossoni, mostrando fieramente il suo essere derivata dalla moltitudine di pellicole simili già uscite in precedenza (si guarda palesemente e spudoratamente alle produzioni di casa Marvel). La tensione latita e i colpi di scena non stupiscono, mettendo in luce i limiti di una scrittura funzionale ma priva di personalità e inventiva.
Il regista spagnolo ci mette il mestiere, pure gradevole e privo di sbavature, ma questo non basta a salvare un racconto fiacco, in cui tutto sembra accadere esattamente nel momento giusto perché questo è quello che, almeno secondo gli sceneggiatori e i produttori, si aspetta il pubblico, che nelle loro menti non ha alcun tipo di pretesa narrativa, tantomeno artistica, ma solo voglia d’intrattenimento a cervello spento. E quindi ci si ritrova a vivere un’avventura dal sapore confortevole, ma fin troppo conosciuto, che fa della mancanza di verve la propria cifra stilistica. Non aiutano poi tutta una serie di personaggi che sono puro pretesto per giustificare le innumerevoli scene d’azione che ancora una volta convincono ma non stupiscono.
Ma se il primo problema di “Black Adam” è il suo essere fin troppo canonico e rispettoso del genere di appartenenza, il secondo è sicuramente il suo protagonista, quel Dwayne Johnson che negli anni si è cucito addosso la figura dell’eroe d’azione alle prese con eventi incredibili (“San Andreas”), quando non improbabili (“Rampage”, “Skyscraper”). Risulta quindi paradossale che in “Black Adam” proprio lui finisca per venire ridimensionato nelle azioni, un po’ per via del genere, un po per gli effetti speciali, risultando meno “super” e molto di più “eroe” sopratutto rispetto agli altri personaggi di cui ha costellato la propria carriera. Un vero e proprio cortocircuito con cui anche il suo più accanito fan dovrà confrontarsi.
Nonostante questo “Black Adam” dovesse, almeno a detta dello stesso Johnson, rilanciare l’universo cinematografico tratto dai fumetti della DC Comics, dando via a una ripartenza atta alla costruzione di un enorme affresco di personaggi che condividono tempi e ambientazioni (ancora una volta la rincorsa alla Marvel), il film diretto da Jaume Collet-Serra dimostra di essere il classico gigante con i piedi d’argilla. “Black Adam” è così insignificante e composto che serve molta immaginazione, ma soprattutto fiducia per credere che da esso si possa creare un mondo condiviso tra cinema e serie tv. Le ambizioni ci sono sicuramente, ma se quello che rimane maggiormente impresso del film è un cameo nei titoli di coda, non c’è molto per cui festeggiare.