47 Ronin

47 Ronin – Samurai 2D

Ci sono viaggi che spesso devono essere intrapresi da soli, o al massimo con alcune persone fidate. Lo ha sicuramente imparato il regista Carl Rinsch, il quale dopo questo suo debutto sul grande schermo sceglierà con maggior attenzione i suoi compagni di avventure. Probabilmente vorrà nuovamente a tenergli compagnia Mathieson e Baird (rispettivamente fotografia e montaggio), ma sicuramente non accetterà di buon grado Chris Morgan, che tra le quattro penne dietro questa versione di “47 Ronin” è sicuramente quello con il maggior numero di responsabilità. Purtroppo non basta dispiegare un comparto tecnico di prim’ordine quando il racconto che dovrebbe dare risalto alle gesta dei protagonisti, manca completamente della necessaria epicità richiesta.

47 Ronin

Rinsch nel raccontare questa versione fantastica della storia pesca a piene mani dall’immaginario degli anime giapponesi dedicati a ninja e samurai, non c’è da stupirsi quindi se il clima generale ricorda produzioni quali “Ninja Scroll” o “La spada dei Kamui”, ed è proprio con quest’ultimo che viene a crearsi un collegamento quasi sicuramente involontario, dato che ne condivide in parte il protagonista. Hiroyuki Sanada (ormai dopo “L’ultimo samurai” lo troviamo spesso nelle produzioni occidentali), fu allora voce del giovane Jirò nel film di Rintarō e lo ritroviamo oggi, ad impersonare la versione speculare e matura del medesimo personaggio, ancora animato dalla vendetta ma con la disillusione tipica di chi a cavallo tra due epoche preferisce vivere secondo rigide regole morali.

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Mentre nell’anime del 1985 però era il protagonista a lasciare la terra dei samurai e del dominio Tokugawa, nel 2014 l’alieno in terra straniera è il meticcio Kai (Keanu Reeves), orfano cresciuto da demoni che gli hanno insegnato l’arte della spada e della magia. Infatti è attraverso gli occhi di un occidentale l’espediente creato per giustificare le derive fantastiche che popolano il Giappone feudale della pellicola. Ispirato ad una storia vera, “47 Ronin” narra le vicende di un gruppo di samurai intenti a vendicare la morte del proprio signore, intrecciando il tutto (e questo è l’innesto occidentale) con il racconto dell’amore impossibile tra Kai e la bellissima principessa Mika.

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Il viaggio per la (ri)conquista dell’onore tra le terre di un’isola piena di misteri, demoni, streghe e creature di ogni tipo si trasforma ben presto in una pellicola vistosamente zoppicante. Ad un fascino estetico fa da contrappunto una scrittura che procede a compatimenti stagni, la quale cerca solamente il pretesto (giustificazione?) per collegare tra loro le varie sequenze d’azione (caratteristica comune delle sceneggiature di Morgan, vedasi alla voce “Fast & Furious” o “Wanted” per stravolgimenti al materiale di partenza), sorvolando sulla necessità di dare spessore ai personaggi, causando l’annullamento di qualsiasi possibile empatia nei loro confronti (per quanto affascinanti le varie situazioni, perdono tutte di mordente).

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Prova indiscutibile di questa bidimensionalità eccessiva è la strega interpretata da Rinko Kikuchi, fascinosa nell’aspetto quanto poco credibile nelle proprie azioni ai danni dei protagonisti (ci si chiede perchè faccia quello che viene mostrato come per la quasi totalità dei personaggi). “47 Ronin” è la conferma che quando si vuole intraprendere un viaggio produttivo simile (ed il rischio di ritrovarsi con qualcosa di peggiore era auspicabile), è necessario avere delle basi solide, pena la trasformazione di una affascinante avventura in semplice scampagnata domenicale, che per quanto gradevole non è sicuramente quello che ci aspetta di ricordare, a patto che durante i titoli di coda qualcosa sia rimasto nella mente.

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