2 Fast 2 Furious – Più grande ma meno riuscito
Il seguito del fortunato “The Fast and the Furious” passa dalla regia di Rob Cohen, a quella del più giovane premio Oscar di sempre John Singleton. Per il regista di “Boyz n the hood” l’intento è chiaro sin di titoli di testa quando trasformo il logo della Universal in un pneumatico: raddoppiare in portata tutto quello che nel primo aveva funzionato e dare molto più risalto alle automobili.
In “2 Fast 2 Furious” ritroviamo Brian O’Conner (ancora una volta con il volto di Paul Walker), divenuto pilota clandestino dopo aver lasciato la polizia. Con Toretto alla macchia lui è praticamente il più forte e temibile tra gli street racers. Tra una gara e l’altra, Brian finirà nuovamente a collaborare con la polizia in cambio di una fedina penale pulita. O’Conner insieme all’amico di lunga data Roman Pearce (Tyrese Gibson), dovrà arrestare un boss locale: Carter Verone. Ad aiutarli tra le fila del criminale l’agente in incognito Monica Fuentes (Eva Mendes).
Perso praticamente tutto il cast del primo capitolo, con una storia alla base estremamente lineare e poco accattivante, John Singleton compie la saggia scelta di centralizzare questo seguito sulle automobili, rendendole fulcro estetico e motore narrativo dell’intera pellicola. Fin dai titoli di testa il focus del regista americano è chiaramente dedicato alla spettacolarizzazione delle livree e dei motori, trasformando i bolidi in veri e propri personaggi che non solo portano avanti l’intero arco narrativo del film, ma trasformano i piloti in una loro estensione e non viceversa come nel capitolo precedente. Tutto questa moltiplicazione di corpi metallici trova il suo apice nella corsa finale, dove i protagonisti aiutati da un numero impressionante di street racers dovranno, come nelle più scontate avventure, sconfiggere il cattivo e salvare la bella.
Se il precedente film di Rob Cohen era di fatto un remake apocrifo di “Point Break”, questo “2 Fast 2 Furious” cerca una propria strada, una sua identità narrativa che però non raggiunge mai, finendo vittima di stereotipi del genere troppo presto e troppo maldestramente. Singleton diventa quindi l’uomo giusto al momento giusto perché conscio della povertà dello script e della bidimensionalità dei personaggi, sposta l’attenzione sull’azione e la velocità della stessa. Nonostante i molti sforzi però, il regista non riesce a confezionare una pellicola memorabile, limitandosi a creare e dare spettacolo per un pubblico che potrebbe apprezzarlo solamente se in astinenza dallo stesso.