State of Play

State of Play – L’informazione al centro della verità

Lucido e riuscito sintetizzano perfettamente “State of play”. Come in ogni cosa, anche quando si scrive di cinema non bisogna mai iniziare dalla fine, lo scotto da pagare è sicuramente quello che il lettore salti completamente la lettura di tutto quello che sta dopo. Però le eccezioni e le regole non sempre devono e possono essere seguite, lo sa bene il giornalista Cal McAffrey (Russel Crowe) e lo deve imparare la giovane Della Frye (Rachel McAdams), quest’ultima sempre alla ricerca dello scoop a tutti i costi.

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Entrambi si troveranno a lavorare al pezzo giornalistico della loro vita, il quale per Cal deciderà le sorti della sua amicizia con il senatore Stephen Collins (Ben Affleck), mentre per Della segnerà il suo definitivo ingresso nella stampa di “serie A”. “State of play” di Kevin Macdonald (“L’ultimo re di Scozia”) è il thriller che non ci si aspetta di vedere nell’attuale panorama odierno, apparentemente classico, è invece una pellicola che negli anni acquisirà un valore quasi culturale, in quanto riesce oggi a fotografare perfettamente quanto la stampa sia legata maggiormente alla necessità di vendere copie, invece di fare del giornalismo.

State of Play

Ed è proprio su questo contrasto che “State of play” costruisce gli eventi ed i suoi protagonisti: al centro c’è la notizia, lo scandalo, una relazione segreta tra il Senatore ed un membro tragicamente morto del suo staff, ai lati troviamo il giornalista di vecchia data McAffrey intenzionato ad aiutare l’amico senatore, dall’altro la giovane Frye pronta a tutto pur di dare notizia ed approdare alla notizia stampata abbandonando l’universo internettiano dei blogger.

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Tra vecchio e nuovo, il viaggio negli anfratti nascosti della stampa proposto da “State of play” è costantemente in bilico tra la scelta di creare cronaca o aumentare ancor di più le dimensioni della notizia scandalistica, durante il percorso più volte le due entità si mischiano invertendosi di ruolo pur giocando con il nemico comune rappresentato dal tempo necessario che separa lo scritto dalla stampa in migliaia di copie dello stesso.

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Lucido e riuscito, le parole utilizzate all’inizio sono perfette per descrivere il lavoro di Macdonald, che dona fortunatamente la personale visione della stampa all’interno di una pellicola di genere che per quanto riuscita, sarebbe risultata troppo esile e risaputa nell’intreccio. La macchina da presa rapisce sguardi e turbamenti dei protagonisti sempre pronti a lasciarsi andare alle proprie emozioni, ma troppo lucidi per permetterselo.

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Saranno infatti gli scoppi d’ira del senatore di fronte ad alcune verità, o il pianto isterico di un informatore che ricorderanno allo spettatore come i nomi stampati su una notizia di giornale in realtà corrispondono a persone con dei sentimenti che troppo spesso vengono calpestati sull’altare delle copie vendute, o peggio completamente ridimensionati pur di far notizia (basti pensare al polverone alzato con la recente influenza suina).

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“State of play” è quindi un thriller ben congeniato, con il retrogusto delle pellicole di cronaca che a parte qualche raro caso (“Zodiac”), sono ormai estinte e ci obbligano a ritornare agli anni ’80 per ricordarci che il cinema sapeva calibrare bene il contenuto sociale all’intrattenimento da sala.  

PUBBLICATO SU NEXTPLAY.IT

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