Gli strani film delle mie feste – PT.3

Queste festività sono quasi finite e a dire il vero non mi sono riposato del tutto, visto che ho continuato a lavorare, anche se in maniera più distesa il tempo dedicato ad oziare è stato veramente pochissimo. In compenso sono riuscito ad andare un pochino al cinema, almeno da questo punto di vista non mi è andata poi tanto male. A dire il vero mi sarebbe piaciuto recuperare in extremis “La ragazza di fuoco”, ma non ci sono riuscito, avrei gradito iniziare l’anno cinematografico all’insegna di “Capitan Harlock”, ma anche qui niente di niente, in compenso ho visto dei film veramente godibili durante queste feste, due non me li aspettavo così riusciti altri due invece li credevo decisamente migliori, o forse più semplicemente, diversi.

The secret life of Walter Mitty

In mezzo ad un panorama cinematografico natalizio costellato da ritorni, rifacimenti e revisione di sentieri già battuti (gli hobbit camminano ancora e De Sica continua ad imperversare), “The secret life of Walter Mitty” è il titolo che risveglia lo sguardo dal torpore in cui si trovava da troppo tempo (sembra una assurdità ma è il film più cinematografico tra tutti quelli in sala),  regalando a chi i film li guarda anche con il cuore (senza voler a tutti i costi psicoanalizzare tutto), una spettacolare storia d’amore da qualsiasi punto la si guardi. Ben Stiller dirige al meglio il suo film più gloriosamente imperfetto e personale, immergendoci in questa magnifica avventura in giro per il mondo. C’è tutto quello che ama il cineasta, anzi sono presenti troppe cose ed alla fine finiscono per sviare, ma proprio come tutti i viaggi  che godono di momenti diversi, di alti e bassi, anche questa pellicola è  piena di attimi diversi non tutti riusciti magari, ma in grado comunque di far sognare lo sguardo.

Lo Hobbit – La desolazione di Smaug

Appena uscito dal cinema ero leggermente deluso da alcune parti veramente brutte di questo film, nonostante la visione si fosse rivelata ad ogni modo piacevole, grazie anche ad una regia accorta nel dosare il ritmo in modo da trascurare i dettagli fuori posto. Purtroppo però sono proprio questi ultimi che spiccano maggiormente in una produzione di tale portata e questo secondo capitolo infatti mi ha deluso parecchio. Non che sia una brutta pellicola ma ha veramente molte cose che non vanno sparse un po’ ovunque. Diciamo che mi ha lasciato abbastanza basito la pressapochezza realizzativa di cui è condito (la scena dei barili regala alcuni momenti anche a livello di montaggio che mi facevano presagire l’uscita di qualche troll che scorreggiasse utilizzando le ascelle), specie perché Jackson è un regista che con il tema tratta sa il fatto suo. Non sono interessato a scomodare il libro anche perché non è che mi sia mai più di tanto piaciuto, infatti apprezzo parecchio il cambio di tono generale dei film rispetto alla controparte cartacea, ma questo secondo capitolo dura troppo e finisce proprio quando diventa interessante. Seppur gradevole, è la delusione più cocente di queste festività natalizie, anche se rispetto al primo forse questo è addirittura più riuscito.

American Hustle

David O.Russel non è un regista che mi esalta poi molto, infatti da “Three kings” (che era veramente una caramella per gli occhi), non ho più seguito le sue peripezie fino a quando su sky qualche mese fa ho visto “The Fighter”, osannatissimo ma a dire il vero se non fosse per la squadra d’attori che ha messo insieme quel film lo si ricorderebbe appena, già ora non che di tempo ne è passato non ha più spazio nella mia memoria, sarà che la storia per quanto veritiera e ben raccontata non mi ha per niente fatto gridare al miracolo (a meno che anche voi non siate sostenitori della teoria del “mondo cattivo”, ma in quel caso “Million Dollar Baby” è il film che fa per voi). In questi giorni ho visto la sua ultima fatica, “American Hustle” presentato da molti in pompa magna, praticamente un film imperdibile anche per la nonna sulla novantina che sta tentando ancora di capire come finisce la “La donna del mistero” e che di andare al cinema non gliene può fregare di meno. In effetti “American Hustle” è davvero un gran bel film, non da scomodare le abitudini di una novantenne, ma riesce nell’impresa di intrattenere al meglio raccontando anche in questo caso una storia tratta da fatti accaduti negli anni settanta in America (in Europa, a quanto pare, non succede mai nulla del genere che valga la pena di raccontare). Il gruppo di attori anche questa volta è più importante della messa in scena e sorreggono sulle proprie spalle l’intera pellicola, che alla fine risulta godibile e mai noiosa, diciamo che O.Russel filma la sua versione di Ocean Eleven, ma rispetto alla gabbia glamour di Soderbergh, “American Hustle” riporta alla mente quel piccolo capolavoro poliziesco di James Gray, “I padroni della notte”.

Philomena

Ed è la volta del film inatteso, più che altro perché non avevo intenzione di vedere al cinema l’ultima fatica di Stephen Frears, ma a quanto pare in Italia si va a vedere di tutto tranne i film drammatici, ed io sono uno che durante le festività li eviterei come la peste, ma siccome avrei dovuto guardare un qualsiasi film presente nella fila “A”, ed io odio la prima fila dei multisala (anche la seconda  e terza comunque), ho ripiegato su questa pellicola del regista di “Piccoli omicidi tra amici”. Al festiva di Venezia “Philomena” aveva fatto suo il premio per la miglior sceneggiatura e mai come in questo caso merito fu più azzeccato. Il viaggio alla scoperta del figlio di questa madre cattolica è sicuramente appassionante e perfettamente scritto, ogni parola che esce dalla bocca degli attori è perfetta per raccontare la storia, e descrivere il loro percorso. Frears si conferma cineasta abile, che non cerca l’emozione facile in nessun caso e questa è la cosa migliore per una pellicola simile, aver evitato la retorica ed i luoghi comuni del genere, anche se ci si avvicina parecchio in alcuni punti. Un film gradevole ed intenso, ben diretto e d interpretato, che tra l’altro è impreziosito da una fotografia tutt’altro che banale nella sua semplicità.

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