Changeling

Changeling – Il ricordo di una madre

[…]Quando tutto il fumo denso fu svaporato nell’aria e il vaso parve vuoto, Pandora guardò nell’interno: c’era ancora un grazioso uccellino azzurro; era la Speranza, l’unico bene rimasto ai mortali a conforto delle loro sventure.[…]

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Con un candido marchio in bianco e nero quasi dimenticato della UNIVERSAL inizia “Changeling” di Clint Eastwood, introducendo il racconto con una scritta che poco spazio lascia a interpretazioni o allusioni di sorta riguarda a ciò che la seguirà, ossia “Una storia vera”. Nella Los Angeles del 1928 una madre di nome Christine Collins (Angelina Jolie), lotta contro la polizia dipartimentale, a causa del mai ritrovato figlio scomparso: Walter Collins. Ad aiutare la signora il reverendo Briegleb (John Malkovich), il quale sembra avere come solo ed unico scopo nella vita, lo smascheramento della peggiore forza pubblica degli Stati Uniti d’America.

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Il nuovo film di Clint Eastwood a parte il titolo ha ben poco a che spartire con il film di Peter Medak del 1980, ma al contrario nella pellicola del regista californiano troviamo echi di un cinema che sembrava dissolto e sparito da anni, o forse il cinema è sempre rimasto lo stesso e noi spettatori siamo cambiati nel tempo, ed il nostro sguardo preferisce altre immagini (romantiche?) a quelle classiche (drammatiche?). Un po’ come la polizia del film vuol far credere alla madre che il figlio ritrovatole sia il suo, calpestando il rispetto verso l’affetto materno, si fatica ad ammettere che una pellicola tanto classica possa al tempo stesso essere incredibilmente fresca e moderna.

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“Changeling” in un colpo solo dimostra come la cura riposta verso una narrazione semplice ed efficace, unita ad un minimalismo dell’immagine che lavora di cesello per descrivere emozioni, sono assieme elementi molto più potenti dell’autorialismo contemporaneo ostentato dai “nuovi autori” (ma anche dai nuovi critici che cridano sempre più facilmente al genio ed al capolavoro), che di fronte ad un regista con più di ottant’anni sulle spalle, devono chinare il capo, mettere da parte la superbia ed iniziare a studiare come realizzare, i primi, ed analizzare, i secondi,  in modo asciutto e moderno un drammatico film classico.

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“Changeling” è una pellicola in eterna caduta verso l’inferno cosciente di ciò (la macchina da presa apre “il sipario” dall’alto al basso e lo richiude al contrario), e non ha paura di rischiare citando/rielaborando il cinema di Fritz Lang, che con “M – Il mostro di Dussendorf” creò uno dei più grandi mostri della storia moderna. La pellicola eastwoddiana diventa quindi citazionista oltreché riflessiva, raggiungendo piena maturità in un campo che il regista americano aveva fino ad ora esplorato demonizzando il suo passato d’attore (basti pensare a commedie come “Bronco Billy” o thriller come “Debito di sangue”).

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“Changeling” rivisita il mostro tedesco e lo contestualizza nell’America corrotta d’inizio anni trenta, dove non basta solo più il diavolo per rapire un bambino, ma serve addirittura un altro infante per adescare una vittima. Ma contro di lui c’è l’amore materno che può contare solo sulla speranza presente in fondo al cuore, dato che il mondo che partorisce nel grembo crimini e criminali, gira le spalle a chi ha bisogno di aiuto. Clint Eastwood dirige quindi un dramma sociale a tutto tondo, pieno di sentimenti e che lancia aspre critiche su di un futuro che ricorda troppo spesso “i bei tempi andati”, che tanto migliori degli attuali non erano.

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Il regista americano continua ad esplorare la coscienza di una nazione che sembra non imparare dai propri errori, ma al contrario cerca riparo da essi in qualcuno capace di porvi rimedio (la frase: “fuori piove acqua, grandine e democratici. E chissà se questo è un bene?”, non può non essere contestualizzata ai giorni odierni dove l’America sta forse vivendo un parallelo temporale con l’epoca in cui è ambientato il film). “Changeling” vede nella forza femminile (Pandora?) l’unica speranza perché l’equilibrio venga risanato, ed oggi a sto punto non possiamo far a meno d’iniziare a domandarci se “l’uomo moderno” non abbia davvero fatto il suo percorso e debba finalmente lasciare spazio all’altro sesso.

Pubblicata su NEXTPLAY.IT

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3.5
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