American Gangster

American Gangster – Questione di cuore

Frank Lucas (Denzel Washington) è un criminale. Lo è perché il mondo che lo circonda gli ha da sempre fatto cedere come i buoni non sono poi diversi dai cattivi; lo è poiché nessuno gli ha mai detto che vivere da una parte o dall’altra di un’immaginaria barriera morale fa qualche differenza. Frank Lucas è niente altro che un autista, un amico, un operaio, una commessa, un meccanico, una cameriera. Frank Lucas è la parte anarchica presente in ogni persona; rappresenta il rivoluzionario desiderio del potere ad ogni costo, ne incarna la gloria ed è dimostrazione vivente che una coscienza forte può ottenere ciò che vuole da quello che gli gravita attorno.

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Frank Lucas incarna il sogno americano che diviene delirio e successivamente incubo. Frank Lucas fornì per più di 15 anni droga ad una nazione, desiderosa di dimenticare il capitalismo ed una guerra che l’ha privata di troppi figli. “American Gangster” è la rappresentazione di un corpo in lenta decomposizione, un cadavere caldo che lentamente diviene freddo lasciando ancor meno possibilità di ritornare in vita. Non esistono certezze oltre alla morte nella vita di un’uomo, l’unica cosa a cui può aspirare sono scelte da compiere per le quali sarà bollato e ricordato in ogni caso.

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Così un poliziotto come Richie Roberts (Russell Crowe) vedrà condannata la sua onestà, un criminale come Lucas sarà libero di uccidere per le strade del suo quartiere venendo lodato per le sue azioni dal popolo. Il mondo è di chi lo piega al suo volere urla la telecamera di Ridley Scott, ma non per questo si rimarrà per sempre impuniti, infatti Lucas che pagherà a caro prezzo gli anni di gloria. “American Gangster” non inscena il dualismo tra cacciatore (il poliziotto) e preda (il criminale),  nemmeno si concentra a riflettere sulle connotazioni socio-politche dei personaggi negli anni in cui sono avvenuti i fatti raccontati, al contrario penetra nell’animo del criminale di Harlem nel tentativo di svelarne i segreti.

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Morte e rinascita ancora una volta sono i basamenti su cui Scott costruisce questo nuovo film, inallenando attorno a questi due una storia che vede due personaggi in bilico tra scegliere se essere o meno onesti con se stessi prima che con gli altri (magnifica in questo senso la scena in cui Roberts mette da parte l’orgoglio per amore del figlio in un’aula di tribunale). “American Gangster” è una storia che non lascia spazio ad una parabola romantica, non ci sono sogni che si animano su un cartellone pubblicitario, ma è un film di genere non attaccato fermamente attaccato alla pura realtà, ove non c’è il cattivo cinematografico, il mafioso carismatico, o l’iperbole del successo di Scorsesiana memoria.

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Il film di Scott passa per alcuni stereotipi obbligati per dovere di narrazione, evitandone molti già inscenati da illustri registi prima di lui. Grazie al montaggio delll’italiano Pietro Scalia ed ad una regia non sfarzosa ma decisa, la quale omaggia in più riprese (con scostante riuscita) alcuni classici come “Quei bravi ragazzi” e “Scarface”, quello che poteva essere un nuovo “western metropolitano” o “gangster movie” debitore dell’indimenticabile “Scarface”, si trasforma in un film  nudo e crudo, fatto di uomini che hanno sempre creduto nel mondo e modo in cui vivevano, anche quando questo gli ha chiuso la porta in faccia.

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Non ci sono lati ammirevoli in un criminale come Lucas, non si simpatizza con lui mai per tutta la durata del film (ed è forse la cosa più normale non parteggiare per un criminale), come risulta difficile farlo nei confronti del poliziotto Roberts, in quanto uomo che vive solo ed unicamente per se stesso. “American Gangster” è amaro e secco, potrà non piacere, ma questo non sarebbe un problema perché a nessuno piacerebbe una vita di redenzione come quella del protagonista e della sua nemesi.

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3.4
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